Tecniche di lavorazione dell’oro
Quelle più comuni sono la martellatura e la strozzatura: in entrambi i casi si sfrutta la duttilità del metallo per la deformazione plastica. La percussione con il martello, solitamente convesso, avveniva su incudini piani e ricurvi, in modo che i colpi vibrassero partendo dal centro con andamento a spirale.
Già nel III millennio a.C. la capacità di sfruttare la duttilità del metallo era piuttosto elevata e nel Vicino Oriente lo sviluppo tecnologico consentiva di realizzare vasi partendo da una lamina piatta. La realizzazione di fili costituisce il punto di partenza per la realizzazione di vari oggetti (collane, pendenti, fibule) e per elaborare diversi sistemi decorativi (motivi a spirale, trame di tessuti o filigrane). Attualmente la produzione di fili avviene tramite la trafila, ovvero uno strumento per la torsione costituito da una piastra spessa di pietra o acciaio, dotata di fori che presentano l’entrata larga e l’uscita più stretta, in modo da assottigliare di volta in volta il filo metallico che viene fatto passare all’interno, fino ad ottenere la dimensione desiderata.
Oltre alla martellatura, un altro metodo in uso presso gli Etruschi consisteva nel torcere lamine spesse e corte, ma la stessa operazione si poteva eseguire, secondo un altro sistema, su un listello a sezione quadrangolare che veniva poi regolarizzato per rotolatura.
Le tecniche più semplici per unire e saldare il metallo sono quelle meccaniche, ovvero il ripiegamento degli orli di due fogli metallici oppure la loro unione tramite ribattini. Quest’ultima tecnica è nota fin dai tempi preistorici (Sepolcreto reale di Ur – 2500 a.C.), mentre tra i Micenei veniva utilizzata per la riparazione di vasi in metallo. La saldatura, ovvero l’unione permanente di due parti metalliche, è un’operazione più complessa che si può suddividere in diverse fasi, tra cui citiamo la brasatura e la saldatura autogena.
Il colore dell’oro
Nell’antichità è stato documentato l’uso di ottenere effetti cromatici arricchendo le superfici dei manufatti. Tale fine veniva raggiunto utilizzando lo smalto, la doratura, il niello o l’elaborazione di una patinatura artificiale. La smaltatura in antico veniva ricercata tramite l’applicazione di vetri colorati o pietre policrome e solo nel XV secolo a.C., in area Egea, iniziano ad essere utilizzati gli smalti veri e propri, costituiti da vetro fuso. La colorazione era ottenuta mediante l’uso di ossidi metallici combinati con il fondente, che in seguito veniva polverizzato e applicato sulla superficie metallica; infine, la cottura in fornace determinava la trasformazione del composto in pellicola vetrosa.
Le tecniche decorative
Molto probabilmente molte delle tecniche di decorazione dell’oro sono state elaborate in seguito al sorgere delle categorie degli artigiani (orafi e argentieri), nel momento in cui le materie prime giunsero in grandi quantità alle società urbane della Persia, della Mesopotamia e della parte sudoccidentale dell’Egitto.
Le tecniche decorative più semplici sono la martellatura, eseguita con il fine di ottenere rilievi tramite percussioni sovrapposte con strumenti di varia misura, e la cesellatura, ovvero l’incisione della superficie per la realizzazione di un motivo prefissato. Tale tecnica è documentata con altissimi livelli di precisione negli specchi etruschi, in cui le figure incise occupavano l’intera superficie del manufatto. Un’altra tecnica tipica è la decorazione a sbalzo, realizzata lavorando la lamina dal retro per generare figure in rilievo. Quest’ultimo metodo può essere perfezionato rifinendo a cesello le figure in rilievo e tale combinazione di tecniche prende il nome di “repoussè”, anch’essa nota a partire dal III millennio a.C. Nella gioielleria antica, al posto del “repoussè” si poteva optare per lo stampaggio, ovvero l’impressione di una superficie laminare tramite l’appoggio dentro o sopra di una forma appositamente preparata.
Un’altra tecnica usata per la decorazione è quella che prevede motivi costituiti da linee tratteggiate, impresse nel metallo, che opacizzano alcune zone, dando vita a un contrasto con le linee lucide. Un ulteriore procedimento, impiegato in prevalenza nelle armature, è il sistema dell’attacco chimico, che rende più scure alcune zone.
Infine, nel XIX secolo nacque l’ossidazione, che permetteva di ossidare l’argento per mezzo dello zolfo.